L'EDITORIALE
Tra sogni e pragmatismo la lezione americana all’Europa di Flavia Pankiewicz
“U
n’America aperta ai sogni”. Tra le prime parole pronunciate da Barak Obama, appena rieletto presidente degli Stati Uniti, c’è la parola cardine di quel pensiero americano che in pochi secoli di storia ha messo insieme quella che, al di là delle inevitabili imperfezioni, è ancora la più grande democrazia del pianeta: “sogno”.
Sogno come meta apparentemente impossibile da rendere reale e concreta. Sogno che, nella terra in cui pochi decenni fa l’apartheid era ancora una realtà, nella terra che ha prodotto mostri come il Ku Klux Klan, ha reso possibile ad un afroamericano la scalata e la riconferma alla carica istituzionale più potente del pianeta.
“Crediamo in un’America generosa, tollerante, aperta ai sogni – ha detto il presidente. – E i nostri contrasti sono il segno della nostra libertà. Il meglio deve ancora venire”.
Poche parole che sono un concentrato del pensiero americano. I “contrasti” letti dal pensiero positivo sono in fondo possibili solo in democrazia e quindi da apprezzare come fattore di arricchimento. E il forte richiamo all’ottimismo con “il meglio deve ancora venire” ci ricorda che nessuna “ripresa”, economica o di qualsiasi altro genere, è possibile se non soffia forte il vento vivificante della speranza e dell’ottimismo.
L’antieuropeo e anti-italiano Romney, che qualche giorno fa profetizzava, in caso di vittoria di Obama, una crisi economica, in America, come quelle di Europa, Italia e Spagna è stato sconfitto ed è rapidamente rientrato nei parametri del politically correct telefonando a Obama per ammettere la sconfitta e augurargli “buon lavoro”. Con fair play ancora più generoso il neo presidente ha risposto: “nelle prossime settimane ci incontreremo per vedere su cosa potremo lavorare insieme per portare avanti il paese”. Una scena impensabile nell’Italia del livore e dei veleni in cui i casi di collaborazione tra le parti, per il bene del Paese, sono quasi inesistenti.
Non si può non menzionare Michelle Obama, forse la migliore first lady che sia mai comparsa sulla scena internazionale. Un asso nella manica che ha certamente avuto un peso nella rielezione di Barak. Solida, solare, propositiva, ha portato avanti campagne intelligenti e validissime come quella contro l’obesità e a favore della dieta mediterranea, dell’educazione alimentare, della riscoperta degli orti. L’ultima mossa giusta: rindossare, per la rielezione del marito, un abito già usato in altre occasioni. “Niente sprechi”, un modo per essere vicina alle famiglie stritolate dalla crisi e per mostrare al mondo, per decenni indottrinato dalla filosofia del lusso, che la sobrietà, per molti obbligata, può essere una scelta, vincente, di gran classe.
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