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- FEBBRAIO 2018 -
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L'INTERVISTA

Franco Ungaro “Il teatro, forma di resistenza alla perdita di valori” di Dino Levante
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      Ha girato tanto per il mondo in questi anni e a ogni latitudine, dal Venezuela all’Iran, dalla Bosnia all’Egitto, dalla Tailandia alla Russia agli Usa, dappertutto per lui il teatro è ancora il linguaggio che permette alle persone e a giovani comunità di ritrovarsi in uno spazio e in un tempo condiviso, dove si vive un’esperienza concreta, fisica e mentale e si comunica con la propria figura. Dal corpo dell’attore al corpo dello spettatore. 

      Franco Ungaro vive a Lecce, laureato in Filosofia nell’Università del Salento, sino al marzo 2015 è stato direttore dei Cantieri teatrali Koreja di Lecce. Dal marzo 2016 è direttore artistico del Teatro San Domenico di Crema (Cremona) e fondatore, nel capoluogo salentino, dell’Accademia mediterranea dell’attore. Oltre a numerosi articoli su quotidiani e riviste, ha pubblicato i libri Dimettersi dal Sud (Laterza, 2006), Lecce sbarocca (Besa, 2011) e Vado a Lecce. Artisti, storici e scrittori in giro per la città (Kurumuny, 2015).

      Qual è l’attuale situazione della cultura in Puglia in confronto al Nord Italia e all’estero? 

      Se guardiamo alle infrastrutture culturali con annessa governance, direi che mostriamo un ritardo e un divario rilevanti, nonostante gli ultimi dieci anni di notevoli investimenti pubblici, specie da parte della Regione, in cultura e spettacolo. La Puglia ha mostrato più un’attrattività turistica che culturale. Fatta eccezione per il Festival della Valle d’Itria e per la Notte della Taranta, il turista cerca ancora il sole e il mare. Vantiamo un patrimonio culturale e ambientale invidiabile che resta ancora poco valorizzato. Un contesto ricco di potenzialità per le quali mancano strategie e politiche coraggiose che mettano in campo strumenti per far interagire settori di attività, generazioni, comunità, soggetti e progetti in un’ottica di sistema.

      Come mai è direttore artistico fuori da Lecce? Non è contento della sua città? 

      Dopo trent’anni si è conclusa la mia esperienza professionale con i Cantieri teatrali Koreja, che credo abbiano esaurito la loro funzione catalizzatrice di energie creative Non sono scappato, non sono deluso da Lecce, anche se il mio rapporto con gli amministratori pubblici del capoluogo non è mai stato all’insegna del dialogo e del riconoscimento reciproco di ruoli che devono rimanere autonomi e paralleli, senza intromissioni e condizionamenti. Da un anno faccio il pendolare fra Salento e Lombardia. A Crema ho accettato l’incarico perché lo considero una sfida nuova e più difficile, è un teatro che non ha tanti finanziamenti pubblici, che fa leva soprattutto sulla passione dei cremaschi e sul loro grande attaccamento al teatro. Ho trovato lì una comunità laboriosa, di grande tradizione culturale e con un tessuto associativo ricco e vitale. 

      Ha avuto recenti esperienze in Usa, che cosa crede che cambierà con Trump?

      Trump è l’icona più rappresentativa dell’epoca che viviamo, con lui è definitivamente crollata l’illusione che, con la caduta del muro di Berlino, ci avviassimo verso un modello di società più aperta, interculturale, più democratica e senza blocchi e conflitti. Travolti da burocrazie e corruzioni, in Europa come in America viene sempre meno l’idea della politica e della democrazia come governo degli interessi generali. I cittadini stanno così male che, sentendosi insicuri e poco protetti, pensano a difendere il proprio interesse particolare più che a lottare per il benessere comune. Trump si è proposto come difensore degli americani che vedono minacciata dalla globalizzazione la loro sovranità e i loro diritti. Arriva dopo che processi di cambiamento sono già maturati nelle società avanzate, con la crisi della politica e della democrazia, con la redistribuzione della ricchezza a livello mondiale. Penso anch’io che questi cambiamenti ci riportano indietro, verso un passato che abbiamo già conosciuto, fatto di discriminazioni sociali e di genere, di nuove guerre, di forti conflitti sociali.

      Che cos’è per lei il teatro oggi? Può ancora avere un futuro nella nostra società?

      Nonostante il proliferare di nuovi media e malgrado il trionfo della civiltà delle immagini il teatro brilla di luce propria. Attraverso la sua magia idee, messaggi, visioni, culture, sentimenti ed emozioni diventano sulla scena esperienza unica e irripetibile di partecipazione fisica e di condivisione. Ci sarà teatro finché sentiremo il bisogno dell’altro, la necessità di comunicare. Il teatro è una forma di resistenza alla dimenticanza, all’oblio, alla perdita di valori, all’atomizzazione sociale, alla sterilizzazione delle passioni e dei sentimenti. È la corrente contraria che ci spinge lontano dallo stagno.

 

Franco Ungaro con l'artista Paolo Comentale durante un congresso a Bangkok
 
 

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